Roma Appia. Giornata enditnow® 2022

Roma Appia. Giornata enditnow® 2022

Beatriz Ambrosetti – Sabato 19 novembre, abbiamo avuto nella nostra chiesa avventista di Roma Appia un bel programma con una buona partecipazione. Il 25 novembre di ogni anno ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, instituita dall’Onu. La chiesa avventista la ricorda, nel sabato più prossimo a questa data, con la Giornata enditnow® e dire “basta”, con voce sempre più forte, a ogni forma di violenza e abusi. Per l’occasione abbiamo istituito il “Posto occupato” nella nostra chiesa di Roma Appia per sensibilizzarci a questi temi purtroppo così attuali. Quest’anno l’argomento è stato “Abuso di potere”. Lina Ferrara, coordinatrice nazionale dei Ministeri Femminili, ci ha detto che dobbiamo stare attenti ed essere responsabili delle nostre azioni per non cadere in questo tipo di comportamento. Il nostro esempio rimane sempre Gesù!

[Foto pervenuta dalla comunità in oggetto]

Bari. Giornata contro la violenza e gli abusi

Bari. Giornata contro la violenza e gli abusi

Santa Abiusi – Sabato 26 novembre, la chiesa avventista di Bari, come ogni anno, ha dedicato una giornata per dire basta alla violenza: enditnow® 2022. Il tema, “Abuso di potere”, è stato trattato la mattina nel sermone e il pomeriggio in un seminario.

Sermone 
Partendo da due oggetti, un coltello e una scultura in legno, abbiamo capito che il potere in sé non è né buono né cattivo; dipende dal modo in cui viene utilizzato. Come un intagliatore può usare un utensile affilato per creare una bellissima scultura, così lo stesso utensile può essere usato per ferire. L’analisi di diverse storie bibliche ha messo in luce che Dio non lascia impuniti coloro che abusano del loro potere. Siamo esortati a non occultare le situazioni di abuso quando ne veniamo a conoscenza, anche se fossero interni alla chiesa. Dobbiamo vivere con senso di responsabilità il ruolo che abbiamo, rispettando i nostri limiti e il nostro potere.

Seminario
Nel seminario pomeridiano, i presenti sono stati suddivisi in gruppi per discutere ed esaminare le varie situazioni di abuso con cui ci confrontiamo spesso nel corso della vita. A ogni gruppo sono stati forniti degli esempi di storie che toccavano le diverse categorie di abuso. Alla fine dell’attività ogni gruppo ha illustrato la situazione presa in esame e ha suggerito gli interventi necessari per una proficua risoluzione.

Conclusione 
L’insegnamento che abbiamo ricevuto da questa Giornata enditnow® è che la gestione del potere, se plasmata dallo Spirito Santo, può farci diventare artigiani e collaboratori di Dio per rendere questo mondo un posto migliore, e guidare le persone verso un futuro radioso, verso la vita eterna (cfr. Efesini 4:1-3).

Clicca qui per guardare la registrazione del sermone.

 

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Roma Lungotevere. Giornata enditnow® 2022

Roma Lungotevere. Giornata enditnow® 2022

Maria Palma – Sabato 26 novembre, presso la chiesa avventista di Roma Lungotevere, si è svolta la Giornata enditnow®. “Abuso di potere” è il tema delicato e di grande attualità proposto quest’anno. Maria Palma e Manuela Mori, rispettivamente direttrice e collaboratrice dei Ministeri Femminili locali, hanno tenuto il sermone. Sul pulpito è stata disposta una poltrona con sopra una tunica rossa, per simboleggiare la violenza sulle donne. Infatti, ogni giorno in Italia una donna su tre è vittima di violenza, il più delle volte mortale.

Parlare dell’abuso di potere oggi è doveroso e necessario. La “tentazione, in esso racchiusa, di oltrepassare i limiti e trarne dei vantaggi accompagna le piccole e grandi vicende del quotidiano. 
Durante il sermone e nell’incontro pomeridiano, sono stati evidenziati diversi passi della Scrittura sull’argomento. Vi è il re Davide che, dinanzi a Bat-Sceba ignora ogni limite e utilizza il suo potere per commettere adulterio e provocare la morte di Uria (cfr. 2 Samuele 12).

Il potere viene esercitato in ogni sfera della nostra vita. Come possiamo allora riuscire a non cedere alle lusinghe del potere? 
In un mondo che sempre più impone modelli e stili di vita dettati dall’arroganza del più forte, possiamo trovare nella figura di Cristo l’esempio per eccellenza di chi, nonostante l’immenso potere di cui era portatore, si è fatto servitore, “ultimo”. 
“… il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti” (Marco 10:45). 

Clicca qui per guardare il video del sermone.

 

 

 

Quando “essere d’aiuto” diventa spiritualmente offensivo

Quando “essere d’aiuto” diventa spiritualmente offensivo

Come possiamo riconoscerlo e prevenirlo nelle nostre chiese e comunità?

Questo articolo si basa su una presentazione fatta dall'autrice al team della Regione transeuropea della Chiesa avventista, a St. Albans, in Inghilterra. Nella trascrizione è stato mantenuto un linguaggio discorsivo. Lo pubblichiamo qui in occasione della Giornata enditnow® 2022

Karen Holford – La Bibbia ci incoraggia più volte ad aiutarci a vicenda, a essere amorevoli, a dire o fare cose positive ed edificanti. Tutto ciò è facile per la maggior parte di noi e possiamo davvero aiutare e incoraggiare qualcuno che vive una crisi. Ma a volte, nei nostri sforzi per dare aiuto, facciamo o diciamo qualcosa che è doloroso. Il nostro comportamento abbatte quella persona, creando una situazione che può essere dannosa o addirittura, a volte, abusiva.

In genere non si tratta del commento sconsiderato occasionale, che non è comunque giusto, bensì è il modo più costante di pensare, parlare e comportarsi che è dannoso per gli altri. Una cosa inutile o malsana da dire potrebbe suonare così: 
“Perché oggi non hai preso il pane della santa Cena?”. 
“Oh, sono intollerante al frumento. Se lo mangiassi, starei male per sei settimane”. 
“Beh, questo dimostra una completa mancanza di fede in Dio. Se credessi in Dio, mangeresti il pane della santa Cena e lui si prenderebbe cura di te”.

Riconoscere l’abuso spirituale 
Come possiamo capire quando qualcosa che diciamo o facciamo passa dall’essere semplicemente “non utile” o “insano” all'essere spiritualmente offensivo? 
Consideriamo una definizione. Se un approccio nocivo diventa un modello persistente di comportamento teso al controllo coercitivo, quel modello riflette la definizione di abuso psicologico con una logica religiosa. Può varcare la soglia dell’abuso spirituale. Gli autori di abusi spirituali sono generalmente persone della stessa fede e spesso si trovano in una posizione di potere all’interno della comunità spirituale o all’interno della famiglia.

Nel 2013, i sociologi L. Oakley e K. Kinmond hanno osservato: “L'abuso spirituale è la coercizione e il controllo di un individuo da parte di un altro in un contesto spirituale. Il bersaglio, o vittima, vive l’abuso spirituale come un attacco personale profondamente emotivo”.[1] 
Gli autori continuano: “Tale abuso può includere manipolazione e sfruttamento, responsabilità forzata, censura del processo decisionale, requisiti di segretezza e silenzio, pressione per conformarsi, uso improprio della Scrittura o del pulpito per controllare i comportamenti, requisito di obbedienza all’abusante, suggerimento che l’abusante ha una posizione 'divina', e isolamento dagli altri, specialmente da quelli esterni al contesto abusivo”.[2]

Motivi per giustificare l'abuso spirituale 
Ho riscontrato alcune “convinzioni inutili”, sostenute da abusatori, che spesso sono alla base dell’abuso che si verifica in contesti spirituali. Ecco sei motivi che ho sentito: 
1. “Sono responsabile della mia famiglia, della mia chiesa e devo fare tutto il necessario, anche se fa male, per aiutarli a essere perfetti”. 
2. “Sono il capo della famiglia, della chiesa e devo dimostrare di essere al comando”. 
3. “È giusto trattare la mia famiglia/i membri della chiesa e gli altri come voglio”. 
4. “Sono responsabile e tenuto a rendere conto della salvezza dei miei familiari e degli altri membri di chiesa; quindi, devo fare il possibile perché facciano le cose giuste”. 
5. “Nella mia vita mi sono sentito fuori controllo perché sono stato anche maltrattato, e ora provo sicurezza quando ho il controllo”. 
6. “I miei genitori mi hanno cresciuto in questo modo e sono ancora in chiesa, perciò, so che una disciplina inflessibile fa bene alle persone”.

Un esempio di abuso spirituale 
Consideriamo un esempio sulla decima e sull’amministrazione, e vediamo come potrebbe passare da un approccio sano a uno abusivo. 
Un approccio salutare sarebbe quello di dire qualcosa del tipo: “Abbiamo tutti possibilità diverse nel dare. Alcuni di noi hanno gravi difficoltà finanziarie. Dio lo comprende. Non vi è coercizione. Dona solo quanto ti senti pronto a dare secondo il tuo cuore e ciò che ritieni giusto dare. E se non puoi, va bene lo stesso. Dio capisce”. 
Allo stesso modo, un approccio non d’aiuto potrebbe suonare così: “Beh, se solo tu gestissi meglio le tue finanze, allora saresti in grado di dare di più alla chiesa. Se non spendessi così tanto per i vestiti, se non comprassi alimenti costosi e ti accontentassi di cose semplici, allora potresti dare di più alla chiesa”.

Un comportamento malsano si verifica quando le persone fanno pressioni su individui o gruppi affinché diano soldi alla chiesa o a un progetto correlato alla chiesa, dicendo: “Dio benedirà solo coloro che danno tanto”, o trattando le persone in modo diverso in base alla loro capacità di fare una donazione. Si manifesta anche quando qualcuno parla in modo cautelativo e critico con persone che non possono dare ciò che ci si aspetta e si desidera da loro, buttandole giù, giudicandole, essendo maleducati con loro e facendole vergognare, forse anche in pubblico.

Quando si cade nell’abuso spirituale, possono esserci richieste di donazione costanti, invadenti e coercitive, spesso supportate dalla Scrittura. Possono includere messaggi ed e-mail regolari inviati alle persone, confronti frequenti, richieste di più soldi o il suggerire che la fiducia in Dio si dimostra con quanto si dona. E se non dai molto, significa che non hai davvero fiducia in Dio. A volte si può arrivare a spaventose minacce di conseguenze spirituali, nel tentativo di usare la paura per costringere le persone a dare.

Se questo comportamento si ripete regolarmente e causa angoscia, è un abuso spirituale. Non è coerente con i valori fondamentali di una sana comunità spirituale, che consistono nell’amare Dio e gli altri. Se la vittima di questo comportamento è un bambino o un adulto vulnerabile, si tratta di una grave violazione delle pratiche di tutela. Incidenti di questo tipo dovrebbero essere segnalati attraverso i canali corretti all’interno della vostra comunità ecclesiale. È pericoloso quando un bambino è vittima di bullismo al fine di portare denaro per una buona causa o quando ci si approfitta di un adulto vulnerabile per fargli mettere tutti i risparmi in un progetto perché è la missione di Dio.

Aiutare chi ha subito abusi spirituali 
Gli effetti dell’abuso spirituale sono devastanti e possono distorcere o addirittura mandare in frantumi l’immagine che una persona ha di Dio. Non rappresenta un’immagine sana di Dio, che la Scrittura rivela essere amorevole, gentile e premuroso. Quando qualcuno subisce abusi spirituali, ne risentono la sua fede e fiducia in Dio e nella comunità spirituale. Si scoraggia e può arrivare a voler rinunciare a Dio.

“In effetti, i tassi di perpetrazione di abusi all’interno della chiesa sono più o meno gli stessi di quelli che si verificano nella popolazione in generale. È solo che spesso vengono spazzati sotto il tappeto, ignorati o cancellati. Le persone indossano le loro ‘facce da chiesa’ e fanno finta che tutto vada bene. Le chiese dovrebbero essere luoghi sicuri per le persone che subiscono abusi, dove possono trovare conforto, aiuto e guarigione. Purtroppo, la situazione è spesso l’esatto opposto, perché l’abuso delle Scritture per manipolare una donna affinché tolleri il male non si limita agli abusatori. Forse con le migliori intenzioni e spesso dettati dalla buona volontà, le chiese a volte usano la Bibbia per peggiorare la situazione di una donna, quando finalmente trova il coraggio di rivelare la sua situazione”.[3]

È importante imparare a riconoscere le situazioni che potrebbero verificarsi intorno a noi e cercare modi per portare guarigione. Se non facciamo parte della guarigione, potremmo essere parte del dolore. Un posto dove guardare è come Gesù ha vissuto la sua vita terrena. Nei Vangeli lo vediamo proteso sempre alla ricerca degli oppressi, degli emarginati, degli abusati, dei respinti, della donna colta in adulterio, della donna al pozzo.

Il Salmo 103 dice: “Il Signore è pietoso e clemente, lento all'ira e ricco di bontà. Egli non contesta in eterno, né serba la sua ira per sempre. Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così è grande la sua bontà verso quelli che lo temono. Come è lontano l'oriente dall'occidente, così ha egli allontanato da noi le nostre colpe. Come un padre è pietoso verso i suoi figli, così è pietoso il Signore verso quelli che lo temono. Poiché egli conosce la nostra natura; egli si ricorda che siamo polvere” (vv. 8-14).

Dio ha compassione perché è compassione. Sa come ci ha fatto. Sa che ci ha fatto di polvere e terra, e che diventiamo fangosi e fragili, e la polvere cade, e ci crepa e ci rompiamo. E Dio dice ti amo comunque. Ti ho fatto. Sei la mia preziosa figlia, il mio prezioso figlio. Niente mi impedirà di amarti. Voglio fare tutto il possibile per proteggerti, per risollevarti, per portarti gioia, per benedirti, perché ti amo.

Questo è il tipo di amore che Dio ha per noi. Vuole riempire i nostri cuori con quell’amore, in modo che fluisca verso coloro che ci circondano e scacci tutti gli abusi, per riempire quello spazio doloroso con amore, grazia e risate, gioia e compassione, abbracci, canzoni e cose meravigliose.

Un modo in cui possiamo essere parte della guarigione è conferire potere agli altri, incoraggiando le persone che vivono questi dolorosi contesti spirituali a sviluppare autonomia, non permettendo a se stesse di essere spinte verso il basso ed essere sopraffatte dalle pressioni e dalle manipolazioni di altre persone. Possiamo aiutarle a riconoscere che: “Questo è un abuso. Non lo tollero. Voglio trovare un’esperienza sana e spirituale”.

Vogliamo incoraggiarli a svilupparsi come individui che possono pensare da soli, che possono esprimere disaccordo o preoccupazione. Questo è il tipo di comunità che crea relazioni sane. Possiamo avere differenze, e possiamo essere in disaccordo, e tuttavia continuare ad amare gli altri. Non dobbiamo costringere le persone a credere a modo nostro o a farlo a modo nostro. Costringere o forzare altre persone a conformarsi a noi e a obbedirci non fa parte di una sana comunità cristiana.

Ci ascoltiamo. Mostriamo empatia. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro. Ci proteggiamo a vicenda e ci diamo sicurezza. Soprattutto, cerchiamo di mostrare l’amore di Dio gli uni agli altri in ogni modo possibile. I superstiti [delle violenze] potrebbero voler cercare chiese e dirigenti ecclesiastici che abbiano una buona comprensione degli abusi spirituali, degli abusi domestici o di qualsiasi altra forma di abuso che potrebbe verificarsi.

Dobbiamo anche stare attenti che le nostre siano parole che benedicono, che edificano gli altri, parole che sono doni per coloro con i quali parliamo. A volte diremo cose senza pensare, mettendo pesi sulle persone, facendole sentire che devono essere perfette e comportarsi in un certo modo, o fare una certa cosa per essere amati da Dio o per essere perdonati. Dobbiamo fare attenzione che le nostre parole non abbiano sfumature sottili che potrebbero offendere una persona vulnerabile, o essere capite nel senso che l’ascoltatore non sia abbastanza bravo, abbastanza perfetto, amato abbastanza o non possa essere perdonato.

Amo il modo in cui Paolo lo esprime in Efesini 4: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l'ascolta” (v. 29)

Ogni giorno dovremmo chiederci: “Ciò che faccio e dico allontana le persone dal Signore e le porta ad avere paura di me e di Dio?”. E poi in risposta: “Quello che faccio e dico avvicina le persone a Dio e le aiuta a sperimentare il suo amore e il mio?”

Quale tipo di persona vogliamo essere davvero? Come possiamo portare buone notizie, pace e amore a chi soffre; guarire chi è ferito e confortare chi è angosciato?

Note 
[1] L. Oakley e K. Kinmond, Breaking the Silence on Spiritual Abuse, Palgrave Macmillan, Londra, 2013, p. 21. 
[2] Ibidem.
[3] H. Paynter, The Bible Doesn’t Tell Me So, Bible Reading Fellowship, Abingdon, U.K., 2020, pp. 15, 16. 

(Karen Holford è terapeuta familiare e direttrice dei Ministeri Femminili, in favore dei Bambini e della Famiglia presso la Regione transeuropea della Chiesa avventista)

[Fonte: Adventist Review. Traduzione: L. Ferrara]

 

Abuso di potere

Abuso di potere

Torna la Giornata enditnow® – Gli avventisti dicono no alla violenza.

Lina Ferrara – I Ministeri Femminili della Chiesa avventista presentano la nuova Giornata enditnow® per dire “basta”, con voce ancora più forte, a ogni forma di violenza e abusi.
“Gli abusi non finiranno mai in questo mondo” esordisce Heather-Dawn Small, direttrice mondiale dei Ministeri Femminili, nell’introduzione alla Giornata 2022. Sembrerebbe una strada senza uscita se non avesse subito aggiunto : “Ma possiamo fare la differenza nella vita delle donne che incontriamo”. Queste sono parole che danno speranza e pongono l’accento sull’azione di ognuno. Perché “end it now” significa “facciamo finire ora (violenza e abusi); mettiamo subito un punto finale”.

La Giornata si  celebra quest’anno il 26 novembre nelle chiese avventiste in Italia, e vuole aumentare la consapevolezza su una problematica che non esclude nessuno ma riguarda tutti. Parlandone nel sermone il sabato mattina e confrontandoci nell’approfondimento del seminario nel pomeriggio, acquisiamo maggiore sensibilità. Così, forse, riusciremo a vedere i lividi sulle braccia o sulle gambe della nostra vicina, che prima non notavamo. Oppure ci chiederemo come mai quella ragazza del nostro palazzo, così allegra e spensierata, adesso è sempre silenziosa e incupita, e non esce quasi più. Saremo sensibili ai segnali che gli altri ci inviano, pure nelle nostre chiese.

La Giornata enditnow® mira anche a fornire gli strumenti per poter agire: sapere come accogliere e relazionarsi con le vittime di violenze e abusi; mai fare finta di niente e passare oltre quando si incontra un caso di abuso, ma sapere a chi rivolgersi.

Le chiese avventiste creano anche eventi per coinvolgere e sensibilizzare la cittadinanza, come cortei, stand con materiale da distribuire ai passanti, flash mob, inaugurazione di panchine rosse contro il femminicidio, ecc. Ogni iniziativa è un passo avanti per affermare “enditnow®”.

Tema 2022 
“Abuso di potere” è l’argomento proposto quest’anno, un tema di cui non si parla molto, ma che si verifica anche nella nostra chiesa. Spesso releghiamo il concetto di potere nelle sfere della politica, della finanza e forse anche del mondo accademico, ed è facile pensare: “È una questione che non mi riguarda dato che non ho alcun potere”. Invece, se ci pensiamo bene, ognuno di noi ha potere in qualche ambito e tutti dobbiamo rispettarne i limiti. Il potere in sé non è “male”. Dipende da come viene usato. L’abuso si verifica quando qualcuno che ha potere approfitta di un’altra persona, o di un gruppo, a suo vantaggio. Può trattarsi di un dirigente, un insegnante, una persona carismatica, colta, ricca o altro ancora. E può avvenire anche nella comunità ecclesiale. Chi ha potere deve essere cosciente dei suoi limiti e delle sue responsabilità.

Ardis e Dick Stenbakken, autori delle risorse della Giornata enditnow® 2022, pongono una domanda cruciale: “Che tipo di relazione c’è tra coloro che ricoprono posizioni di influenza, o dirigenziali, e i membri di chiesa? Molte persone hanno vissuto esperienze dolorose di cui forse non hanno mai parlato e tuttavia vanno affrontate.

Il materiale in italiano, sermone e seminario, è stato tradotto dai Ministeri Femminili (MF) nazionali ed è stato inviato da tempo alle responsabili dei MF nelle chiese locali.
“Preghiamo per il successo di questa giornata” conclude la direttrice MF mondiale “Preghiamo che Dio vi dia la forza necessaria per affrontare l’argomento proposto. Preghiamo che il Signore benedica il vostro gruppo di lavoro e il programma che preparerete. Soprattutto preghiamo per coloro che riceveranno benedizioni perché qualcuno ha riconosciuto il loro dolore e gli ha teso una mano amorevole”.

Le risorse sono anche su ministerifemminili.avventista.it/

“Rompere il silenzio” celebra 20 anni con un corteo a San Paolo

“Rompere il silenzio” celebra 20 anni con un corteo a San Paolo

L’iniziativa sponsorizzata dagli avventisti è un giorno ufficiale nel calendario dell’omonimo stato brasiliano.

Notizie Avventiste – 10.000 persone si sono radunate sull’Avenida Paulista a San Paolo, in Brasile, il 27 agosto, con striscioni che invitavano a combattere la violenza contro donne, bambini e anziani, e con palloncini bianchi, per promuovere la risoluzione pacifica dei conflitti. La manifestazione ha celebrato il ventesimo anniversario della campagna “Rompere il silenzio” (Quebrando o Silêncio), un’iniziativa della Chiesa avventista in Sudamerica.

L’obiettivo era creare consapevolezza tra la popolazione sulla lotta alla violenza domestica ma anche sulla prevenzione degli abusi, in particolare di quelli psicologici (tema del 2022), contro le persone vulnerabili.
“Quest’anno abbiamo voluto celebrare in modo diverso i 20 anni della campagna” ha affermato Telma Brenha, direttrice dei Ministeri Femminili nello stato di San Paolo e coordinatrice dell’evento.
“Grazie a questo corteo” ha aggiunto “molti hanno potuto capire… e hanno imparato che possono rompere il loro silenzio e dire no alla violenza”.

Sensibilizzare le nuove generazioni 
Anche gli scout hanno sfilato durante la manifestazione. “Stiamo lavorando con le nuove generazioni. Vedere bambini e giovani partecipare con noi è stato molto importante perché possiamo insegnare loro, fin dalla tenera età, i temi portati avanti dal progetto” ha sottolineato Brenha.

Per Murillo Santos, 10 anni, partecipare è stato illuminante. “Ho imparato che la violenza fa male a tutti. Voglio diventare un adulto che non pratica la violenza” ha detto.

Il corteo si è snodato per circa 1,5 km lungo il viale del centro cittadino e si è concluso con una breve cerimonia in cui gli organizzatori hanno ringraziato i partecipanti. Poi, dopo un canto, migliaia di palloncini bianchi, colore che simboleggia la pace, sono volati in cielo.

Violenza psicologica 
Ogni anno, “Rompere il silenzio” affronta un argomento diverso. Nel 2022 l’attenzione si è concentrata sulla violenza psicologica. Secondo le ricerche di vari enti in materia di salute e sicurezza, la violenza psicologica è il tipo più ricorrente di abuso e, in molti casi, porta ad altre forme di aggressione. È presente nelle famiglie, negli ambienti accademici e di lavoro, sotto forma di insulti, ricatti e minacce. Poiché non è un atto fisico, questo tipo di aggressione è spesso nascosto e sottostimato dagli organi di sicurezza. Tuttavia, la violenza psicologica è considerato un reato in diversi Paesi, per la sua capacità di causare danni alla vittima.

Inclusa nel calendario ufficiale di San Paolo 
La Giornata “Rompere il silenzio” si svolge nelle chiese avventiste degli otto Paesi che compongono la Regione sudamericana: Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Ecuador, Paraguay, Perù e Uruguay. Eventi e iniziative contro la violenza e gli abusi si svolgono durante tutto l’anno, ma il giorno specifico dedicato al tema ricorre ogni quarto sabato di agosto.

Dal 2019, la Giornata “Rompere il silenzio” è entrata a far parte del calendario ufficiale dello stato brasiliano di San Paolo, con la legge 17.186/2019.

[Foto: Adilson Alves. Fonte: Vanessa Moraes, Regione sudamericana]

Donne FDEI, donne in rete: la sequela di Gesù è amare il prossimo come noi stesse

Donne FDEI, donne in rete: la sequela di Gesù è amare il prossimo come noi stesse


Proseguono gli appuntamenti con la Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI). Questa settimana è il turno dei Ministeri femminili della Chiesa avventista. In apertura ascoltiamo una riflessione di Katia Montalbano, referente dei Ministeri femminili della Chiesa avventista in Sicilia, sul testo evangelico di Galati 5:14. Segue un'intervista a Gioia Specchio Orsucci sulla sua esperienza di servizio in Africa.

8 marzo 2022. Una giornata diversa

8 marzo 2022. Una giornata diversa

Notizie Avventiste – In tanti Paesi dell’Europa dell’est, la Giornata internazionale della donna è un evento importante. Forse molto di più che in quelli occidentali. Quest'anno, però, sarà una giornata diversa. In Paesi come la Romania e la Polonia, è diventata una vera e propria giornata al femminile, con le migliaia di donne e bambini ucraini che attraversano il confine per cercare sicurezza, e vengono accolti con molta solidarietà. Non ci possono essere celebrazioni nel Paese dilaniato dalla guerra, l’Ucraina, né per le donne coraggiose che portano i figli in salvo nella speranza di assicurare il futuro della loro amata patria.

Non ci saranno festeggiamenti per tutte le donne vittime di guerra, persecuzioni, carestia, violenze in ogni parte del mondo.

Ma noi vogliamo celebrare queste donne forti con le nostre preghiere e il nostro aiuto pratico. Celebriamo anche gli uomini e le donne che si offrono volontari per fornire aiuto alle frontiere ucraine. Celebriamo le famiglie che aprono le loro case agli sfollati in arrivo. L'assistenza fornita vale più di un biglietto e di un fiore che di solito vengono donati in occasione della Giornata internazionale della donna. La risposta a questa terribile guerra è enorme in tutti i nostri Paesi europei, a dimostrazione del fatto che l'umanità ha ancora autentica empatia e dignità.

Questa Giornata internazionale della donna sarà ricordata mentre raccogliamo la sfida di essere i piedi e le mani, gli occhi, la bocca e le orecchie di Dio, per confortare le donne e i bambini dell'Ucraina in lutto e spaventati. Incontriamoli con amore e iniziative cristiane.

Celebriamo tutte le donne in questo 8 marzo: i loro cuori amorevoli, la forza, il coraggio, la creatività e tutti gli altri tratti positivi che le contraddistinguono. 
(LF)

[Foto e Fonte: Ministeri Femminili Eud]

 

8 marzo. Ti ringrazio per…

8 marzo. Ti ringrazio per…

I Ministeri Femminili invitano a un incontro online nella Giornata della donna.

Lina Ferrara – Tutte e tutti noi abbiamo, o abbiamo avuto, una donna alla quale vogliamo dire grazie per il bene da lei ricevuto nella nostra vita. Forse è bastata una parola durante una crisi, o un gesto importante, o ancora l’averci accolto e donato un sorriso.  

Martedì 8 marzo, alle ore 20.30, sulla piattaforma Zoom, potremo condividere le nostre esperienze e dire a una donna: “Ti ringrazio per…”. Nella Giornata internazionale della donna, i Ministeri Femminili nazionali della Chiesa avventista organizzano un incontro speciale aperto a tutte e a tutti.

Il programma prevede anche canti, una riflessione biblica e del tempo da dedicare alla preghiera per ringraziare il nostro Dio e pregare per la pace in Ucraina e Russia, e per coloro che soffrono in Italia e in altre parti del mondo.

Per ricevere le coordinate Zoom scrivi a ministerifemminili@avventisti.it

L’incontro sarà trasmesso anche in diretta streaming
– sul sito www.hopemedia.it
– sulla pagina Facebook della Chiesa avventista www.facebook.com/avventista
– sul canale YouTube www.youtube.com/hopechannelitalia.

 

5 marzo. Giornata internazionale di preghiera delle donne avventiste 2022

5 marzo. Giornata internazionale di preghiera delle donne avventiste 2022

Lina Ferrara – Il primo sabato di marzo (quest’anno il 5), le donne avventiste di tutto il mondo vivono la Giornata internazionale di preghiera. È un momento importante promosso al femminile, che coinvolge tutte le realtà delle comunità avventiste. Perché la preghiera riguarda tutti.
Nelle chiese il pulpito è lasciato alle donne che condividono il messaggio spirituale preparato dai Ministeri Femminili (MF) della Chiesa globale. Se mai vi è stato un tempo in cui abbiamo bisogno di pregare, e non dobbiamo smettere di farlo, è proprio adesso.

“Viviamo in tempi incerti, di solitudine e paura” afferma Heather-Dawn Small, responsabile mondiale dei MF “Dove possiamo andare? Come possiamo trovare pace e conforto? Il materiale della Giornata internazionale di Preghiera darà una risposta a queste domande e indicherà l’unico luogo in cui si possono trovare conforto e pace. Quel posto è solo con Dio in preghiera”.

In questo sabato speciale, le comunità saranno in preghiera per tutte le 24 ore del 5 marzo. Infatti, in ogni fuso orario ci sarà un gruppo di donne nel mondo che prega, creando una solida catena di devozione e lode a Dio.

Sermone 
Il tema “Pregare negli ultimi giorni” è sviluppato nel sermone sul testo di Giosuè 5:13-15, preparato da Cindy Tutsch, direttrice associata dell’Ellen G. White Estate, ora in pensione. La narrazione biblica del popolo d’Israele davanti al fiume Giordano in piena, ultimo ostacolo che lo separa dalla terra promessa, offre diversi spunti di riflessione per noi, donne e uomini di oggi. Senza dimenticare la lezione più importante: rivolgersi a Dio.

“Sorelle mie” aggiunge Small “dobbiamo essere connesse alla nostra fonte di forza, di conforto e di pace, e tale connessione avviene quando preghiamo. Se vi sentite vuote, sole, impaurite, senza speranza, allora lasciate ciò che state facendo in questo momento e cercate vostro Padre in preghiera. Ditegli come vi sentite, chiedetegli di darvi forza, coraggio, serenità mentale. Lui risponderà. Lo fa sempre”.

E la Bibbia ci esorta: “Cercate il Signore e la sua forza, cercate sempre il suo volto! Ricordatevi delle meraviglie che egli ha fatte, dei suoi miracoli e dei giudizi della sua bocca” (1 Cronache 16:11, 12).

Seminario 
Cindy Tutsch è l’autrice anche del seminario “Perché la preghiera è importante”. Quale dovrebbe essere il fulcro delle nostre preghiere in questi ultimi giorni? Per cosa si dovrebbe pregare mentre vediamo l’urgenza dei tempi in cui viviamo? Sono le sue domande iniziali che guidano nel percorso tracciato dal seminario.

Tutto il materiale è stato tradotto in italiano dal Dipartimento nazionale dei Ministeri Femminili e inviato da alcune settimane alle responsabili MF delle chiese locali.

“Buona Giornata di preghiera!” è l’augurio dei MF nazionali.

Visita il sito ministerifemminili.avventista.it 

Donne FDEI (Federazione Donne Evangeliche in Italia), donne in rete (22)

Donne FDEI (Federazione Donne Evangeliche in Italia), donne in rete (22)


Proseguono gli appuntamenti con la Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI).

Questa settimana ascolteremo una breve riflessione a proposito delle parole di Gesù riportate in Matteo 11,28: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”. La riflessione biblica è a cura di Franca Zucca, ex coordinatrice del Dipartimento Ministeri Femminili dell’Unione italiana delle Chiese Avventiste.

Seguirà un’intervista a Lina Ferrara, attuale coordinatrice  del Dipartimento, che verte sui “giusti delle nazioni”, con una breve testimonianza sul ruolo che due donne avventiste hanno svolto per la salvezza di numerosi ebrei durante la seconda guerra mondiale.

Sottomettersi o non sottomettersi, questo è il problema

Sottomettersi o non sottomettersi, questo è il problema

Edyta e Darius Jankiewicz – Vi è un passo della Scrittura che ha creato tante controversie nelle comunità cristiane: “Mogli, sottomettetevi ai vostri mariti, come al Signore” (Efesini 5:22). 
Negli oltre 30 anni del nostro ministero, abbiamo incontrato vari membri di chiesa che hanno faticato a interpretare questo testo. Uno era un membro di chiesa fisicamente offensivo nei confronti di sua moglie. Quando venne scoperto, utilizzò questo versetto biblico per giustificare i suoi abusi. In un'altra occasione, un giovane uomo in procinto di sposarsi venne a casa nostra e ci domandò come fosse strutturata l’autorità nella nostra famiglia. “Chi ha l’ultima parola?”, chiese. Gli spiegammo che il nostro matrimonio non funzionava secondo il principio dell’autorità dell’uno sull’altro, ma lui insistette sul fatto che l'ultima parola spettasse al marito. Più tardi, negli anni in cui insegnavamo in Seminario, a volte sentivamo questa opinione circolare tra i nostri studenti, i quali insistevano sul fatto che il matrimonio fosse impraticabile a meno che qualcuno non fosse responsabile della decisione finale (l’ultima parola, ndt).

Questa visione si rifletteva anche in un gruppo interconfessionale di cristiani conservatori con cui avevamo stretto amicizia mentre svolgevamo il nostro ministero nell’area del Pacifico. La loro incapacità di seguire questo insegnamento causava a volte un’autentica angoscia a questi sinceri cristiani. Tornavamo dagli incontri grati per la visione avventista del mondo; grati che la leader e co-fondatrice della nostra denominazione fosse una donna, qualcosa di impensabile per i nostri amici. Non sapevamo che, in un futuro non troppo lontano, la Chiesa avventista sarebbe stata coinvolta nella discussione sul ruolo delle donne nel matrimonio e nella vita della chiesa.

Quindi, cosa significa per una moglie sottomettersi al marito? E quale dovrebbe essere la portata di tale sottomissione? Poiché ognuno di noi interpreta questo versetto attraverso la lente della propria cultura, educazione e istruzione, ci sfugge a volte ciò che l’apostolo Paolo stava effettivamente cercando di dire.

Per chiarire il significato di questo passo, dobbiamo considerare il suo contesto. Quindi dobbiamo cominciare dall’inizio del capito di Efesini dove Paolo afferma quanto segue: “Siate dunque imitatori di Dio, come figli amati; e camminate nell'amore come anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (Ef 5:1, 2).

Paolo inizia chiamandoci a imitare Dio e Cristo. Questa non è un'idea nuova. Già nell'Antico Testamento gli Ebrei venivano continuamente chiamati a imitare Dio. Ad esempio, in Levitico 19:2 leggiamo queste parole: “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo”. Ma in Efesini 5:1, 2 troviamo un motivo nuovo per cui i cristiani devono imitare Dio: il suo amore per l’umanità. Ci sono tre parole greche che sono tradotte con "amore": eros, fileo e agàpe. In questo brano, l'agàpe di Dio, la più alta forma di amore, deve essere la nostra motivazione per imitarlo. Ma c'è di più.

In Efesini 5:2, Paolo ci ricorda che l'amore agàpe di Dio è caratterizzato dal dono e dal sacrificio di sé. È stato l'amore agàpe che ha fatto sì che Cristo “rinunciasse a se stesso” (in greco: paredoken heauton) per noi. Ogni volta che queste due parole greche sono usate per descrivere ciò che Cristo ha fatto per l'umanità, è un'indicazione che l’autore sta descrivendo la più alta forma di sacrificio che Dio avrebbe potuto attuare, la sua morte sulla croce. Un concetto simile è espresso in Filippesi 2:8, dove Gesù "umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce". È questo tipo di amore, umile e sottomesso, che siamo chiamati a imitare nelle nostre relazioni. E sono questi versetti (Efesini 5:1, 2) che forniscono il contesto più ampio per il resto del capitolo.

Inoltre, Efesini 5:22 fa parte di una discussione più ampia sul matrimonio, che inizia nel versetto precedente: "sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo" (v. 21). Come sappiamo che questa discussione inizia nel versetto 21? Nell'originale greco, i manoscritti più antichi e affidabili omettono la parola "sottomettere" nel versetto 22, e il versetto dice semplicemente: "Mogli, ai vostri mariti". Pertanto, il verbo sottomettere nel versetto 22 è preso in prestito dal versetto 21. Questa è un'indicazione che il contesto per la discussione sulla relazione coniugale (cfr. vv. 22-33) è la sottomissione reciproca, come delineato nel versetto 21.

È importante sottolineare che questa mutua sottomissione trova il suo fondamento nel “timore di Cristo” (v 21). Questa frase indica che si tratta di una “sottomissione” che non si può pretendere, così come Dio Padre non ha preteso la sottomissione di Dio Figlio. Piuttosto, ci sottomettiamo ai nostri coniugi, reciprocamente e volontariamente, perché questo riflette la sottomissione reciproca e volontaria che esiste nella Deità, e in particolare la sottomissione di Cristo nel portare volontariamente i nostri peccati sulla croce.

Il principio della sottomissione reciproca, fondato sull’amore agàpe e riflesso nella Deità, fornisce un esempio per tutte le relazioni cristiane. Questo è il motivo per cui gli scrittori del Nuovo Testamento si definivano “servo” (diakonos) e “schiavo” (doulos). In ciò seguivano le orme di Gesù che usava queste due parole anche per descrivere se stesso e la sua missione (cfr. Marco 10:43-45). Di conseguenza, Paolo esortò i primi cristiani a seguire l'esempio di Gesù: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio… svuotò se stesso, prendendo forma di servo (doulos), divenendo simile agli uomini” (Filippesi 2:5-7). Allo stesso modo, in Galati 5:13, Paolo implorava: “per mezzo dell’amore servite (doulos) gli uni agli altri”.

Stabilito che tutti i rapporti cristiani devono fondarsi sulla sottomissione reciproca (cfr. Ef. 5:21), Paolo prosegue esplorando il modo in cui questo principio si applica ai rapporti tra marito e moglie: “Mogli, [sottomettetevi][1] ai vostri mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della chiesa, lui, che è il Salvatore del corpo. Ora come la chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli devono essere sottomesse ai loro mariti in ogni cosa” (vv. 22-24).

In questo testo complesso e teologicamente ricco, la maggior parte delle persone tende a concentrarsi principalmente sulle parole "mogli [sottomettetevi] ai vostri mariti". Alcuni lettori filtrano queste parole attraverso la lente della cultura contemporanea e quindi considerano l'ingiunzione di Paolo troppo restrittiva e perciò irrilevante. Altri le danno toni non biblici di “autorità su”[2] e si aspettano che le mogli cristiane si pongano sotto l'autorità dei loro mariti. Tuttavia, un’attenta lettura di questi versetti rivela che il messaggio di Paolo era incredibilmente controculturale.

La prima cosa da notare è che quando Paolo scrisse della sottomissione delle mogli, non disse nulla che sorprendesse i suoi lettori, poiché questo era un aspetto profondamente radicato nelle antiche convenzioni sociali e familiari greco-romane ed ebraiche. Tuttavia, l'insistenza di Paolo sul fatto che le mogli dovessero sottomettersi ai loro mariti “come al Signore” (v. 22) introdusse un concetto radicalmente nuovo, poiché implicava una sottomissione volontaria.

Inoltre, Paolo indirizzò questi versetti alle mogli piuttosto che ai mariti, il che era rivoluzionario e controculturale nel primo secolo dopo Cristo. Un modo culturalmente più appropriato di comunicare sarebbe stato quello di rivolgersi ai mariti, che avrebbero poi trasmesso il messaggio alle loro mogli. Il fatto che Paolo si rivolgesse direttamente alle mogli era un’ulteriore indicazione che la sottomissione non poteva essere richiesta, ma piuttosto doveva essere volontaria. Così, in netto contrasto con la pratica degli antichi uomini greco-romani, i mariti cristiani non dovevano rivendicare l'autorità sulle loro mogli, poiché la prima fedeltà di una moglie cristiana era a Cristo.

È nel versetto 25, tuttavia, che Paolo capovolge ogni convenzione greco-romana: “Mariti, amate (agàpe) le vostre mogli, come Cristo ha amato (agàpe) la chiesa e ha dato se stesso per lei”. Nelle parole “ha dato se stesso” per lei riecheggiano i versetti 1 e 2 dello stesso capitolo, dove Paolo aveva esortato tutti i cristiani ad amare come Cristo ha amato e “ha dato se stesso”. In altre parole, i mariti sono esortati ad amare le loro mogli nello stesso modo in cui Cristo ama, in modo sacrificale. Non c'è nessun insegnamento qui per i mariti di governare sulle loro mogli; anzi, sono esortati ad amarle (agàpe), come Cristo ha amato (agàpe) la chiesa. Invocando la sottomissione di Cristo, che era "per natura Dio" (cfr. Filippesi 2:6) e tuttavia assumeva il ruolo di servo, Paolo capovolse la concezione tradizionale della sottomissione coniugale e offrì invece un modello di radicalità cristocentrica e sottomissione reciproca. Di conseguenza, quando Cristo è l'esempio sia per il marito sia per la moglie, il matrimonio cristiano può essere una testimonianza dell’amore di Cristo e del Suo sacrificio per la sua sposa.

Allora, cosa significa "sottomissione reciproca" nel nostro matrimonio? Significa che ci sottomettiamo l'un l'altro nel nostro dono, a volte segue quelli che sono considerati ruoli tradizionali di genere, ma altre volte non lo è (cfr. Romani 2:6-8; 1 Corinzi 7:7). Significa che, di fronte a decisioni su cui non siamo d'accordo, non c'è mai una "parola finale" da parte di nessuno di noi due. Piuttosto, ci prendiamo del tempo per discutere insieme finché non raggiungiamo il consenso, o almeno un compromesso con cui possiamo convivere (cfr. Colossesi 3:12). Significa che, nel perseguire le nostre speranze e i nostri sogni individuali, consideriamo non solo i nostri interessi, ma anche gli interessi dell'altro (cfr. Filippesi 2:4). Non sempre lo viviamo perfettamente; tuttavia, continuiamo a fissare lo sguardo su Gesù, nostro modello per amare bene.

Edyta e Darius Jankiewicz prestano servizio presso la Regione Pacifico del sud della Chiesa avventista, lei in qualità di associata ai Ministeri Femminili, lui come segretario dell’Associazione pastorale e coordinatore dei Ministeri dello Spirito di profezia.

Note 
[1] Come sottolineato in precedenza, nell’originale greco la parola “sottomettere” non ricorre nel versetto 22 poiché è stata presa in prestito dal versetto 21, collegando così i due testi.

[2] Marco 10:43-45 mostra il rifiuto esplicito di Gesù del concetto di "autorità" sugli altri credenti.

[Fonte: Adventist Record

 

 

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