Apocalisse in breve. I due testimoni
24 Giugno 2014

NA - Notizie AvventisteFrancesco Zenzale – “Poi mi fu data una canna simile a una verga; e mi fu detto: ‘Àlzati e misura il tempio di Dio e l’altare e conta quelli che vi adorano; ma il cortile esterno del tempio, lascialo da parte, e non lo misurare, perché è stato dato alle nazioni, le quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi. Io concederò ai miei due testimoni di profetizzare, ed essi profetizzeranno vestiti di sacco per milleduecentosessanta giorni’” (Ap 11:1-3).

La visione seguente mette Giovanni nuovamente a confronto con l’esperienza profetica di Ezechiele. Come lui, riceve una verga per misurare il tempio della Gerusalemme futura (cfr. Ap 11:1; Ez 40:3). Questo gesto simbolico diventa chiaro quando lo si mette in parallelo con il ciclo dei sigilli. Dopo l’apertura del sesto sigillo, la serie si era interrotta per consentire a Dio di segnare il suo popolo, esperienza che gli permetterà di vivere in tempi difficili (7:3). Allo stesso modo, dopo lo squillo del sesto schofar, il profeta si ferma a misurare il tempio di Dio annunciandone la restaurazione (cfr. 11:1; Zc 2:2). Più esattamente, Giovanni deve misurare “l’altare” e contare “quelli che vi adorano”.

La visione si applica al popolo di Dio attraverso la storia. Questo popolo ha ricevuto la missione di “profetizzare” (11:3). La sua missione è simile a quella del popolo di Dio dei tempi ultimi: testimoniare della rivelazione che viene dall’alto. Mentre in precedenza la testimonianza verteva su Daniele e l’Apocalisse, ora, arrivati alla fine della storia umana, la testimonianza si allarga all’intero messaggio biblico. L’oracolo paragona questo popolo “profetico” a “due testimoni” (11:3) e spiega: “Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra” (11:4).

Il profeta Zaccaria riporta un’analoga immagine di due olivi e di un candelabro (4:1-6,11-14). Alla domanda del profeta: “Che significano queste cose?” (v. 4), l’angelo risponde: “Non per potenza, né per forza, ma per lo Spirito mio dice il Signore degli eserciti” (v. 6).

La spiegazione dell’angelo si basa sul rapporto tra l’olio d’oliva e il candelabro. Come il candelabro illumina grazie all’olio versato dall’alto, così la parola profetica rischiara grazie allo Spirito che scende dall’alto.

Nella Bibbia, la parola di Dio è spesso paragonata alla luce. Il salmista ne trae un principio dinamico proprio del cammino verso Dio: “La tua parola è una lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero” (Sal 119:105). I proverbi compongono giochi verbali per riferire la torah, la legge di Dio rivelata, alla luce, ór (cfr. Pr 6:23); le due parole derivano dalla stessa radice. Nel Nuovo Testamento “Dio è luce” (1 Gv 1:5) e, quando Gesù si identifica con la luce, egli la riferisce alla via (cfr. Gv 8:12) nello spirito del Salmo 119, facendo, in questo modo, allusione alla torah, la rivelazione di Dio.

All’immagine dell’ulivo e del candelabro si aggiunge un’altra identificazione dei due testimoni. I miracoli che essi compiono ricordano due personaggi importanti dell’Antico Testamento, Mosè ed Elia. Mosè è ricordato per il miracolo delle acque mutate in sangue e delle piaghe che colpiscono la terra (cfr. 11:6; Es 7:14-18). Elia è ricordato dall’evento del fuoco che divora il nemico e della pioggia sottomessa al controllo (cfr. 11:5,6; 1Re 19:10; 17:1). Ora, il solo testo dell’Antico Testamento che associa questi due personaggi si trova in Malachia, l’ultimo profeta canonico delle Scritture ebraiche. “Ricordatevi della legge di Mosè, mio servo, al quale io diedi sull’Oreb leggi e precetti, per tutto Israele. Ecco, io vi mando il profeta Elia, prima che venga il giorno del Signore, giorno grande e terribile. Egli volgerà il cuore dei padri verso i figli, e il cuore dei figli verso i padri, perché io non debba venire a colpire il paese di sterminio” (4:4-6).

 

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